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Vent’anni fa l’accidentale rinascita del Caroni

Caroni

La prima frase del discorso che Derek Walcott ha pronunciato a Stoccolma il 7 dicembre del 1992 in occasione del conferimento del premio Nobel per la letteratura è precisa: “Felicity è un villaggio di Trinidad ai margini della Piana del Caroni dove si coltiva ancora la canna da zucchero”. In quello scritto, intitolato, ‘Le Antille: frammenti di memoria epica’, il poeta caraibico tratta di fede, umanità e percezioni, tralasciando però quel che quell’umanità faceva con la canna da zucchero sulle rive di quel fiume. Un qualcosa che oggi, per il rum, ha un significato epico. Questo perché nel mondo ci sono dei prodotti buoni, buonissimi e indimenticabili. Poi ci sono quelli che vanno oltre e creano culto al limite del fanatismo. Tra i rum ce n’è uno sconosciuto praticamente a tutti, fatta eccezione per gli appassionati. Si chiama proprio Caroni, naturalmente arriva da Trinidad, ma non se ne produce più da oltre vent’anni. E così, ogni singola goccia tra quelle rimaste è entrata nel limbo del collezionismo; che appaga il possesso, talvolta il portafoglio, ma raramente il palato. Uno dei protagonisti di questa storia è Luca Gargano, genovese, proprietario della società di distribuzione di vini e superalcolici Velier, ma soprattutto grande collezionista di rum. Nel dicembre del 2004 Gargano, insieme al fotografo Fredi Marcarini, visita la distilleria Caroni Sugar Factory che il governo di Trinidad ha chiuso un anno prima. Ed è in quel momento che, all’interno di un impianto completamente abbandonato, si trova davanti agli occhi centinaia di barili, i più vecchi dei quali datati 1974. Il passo successivo è inevitabile. Una volta avuta la certezza della qualità superiore del contenuto, Gargano acquista subito i barili più vecchi e tutti quelli degli anni ottanta, con grande attenzione per l’82, l’83 e l’85. In totale sono un centinaio di fusti con al loro interno un rum che, nonostante una gradazione che arriva talvolta al 70% circa di alcol, sono estremamente bilanciati. La decisione di imbottigliarli è presto presa, ma sarà effettuata un annata per volta, ognuna delle quali avrà per etichetta una foto reportage di Fredi Marcarini. Il successo è immediato e, dal 2006 al 2011, le botti acquistate diventano 1.388, tutte a invecchiare là dove sono state prodotte e nonostante un angel share (cioè la parte che evapora) compreso tra l’otto e l’undici per cento. Tornando all’oggi, per entrare nel club della Caronimania, ci sono solo due vie. La prima è quella di cercare uno dei duemila libri che Steffen Mayer ha realizzato sul tema, la seconda è quella di comprarsi una bottiglia e farsi raccontare tutta la storia dal rum stesso, almeno finché ce n’è.

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